Valentina (nome di fantasia) è piegata in due dal dolore: soffre di calcoli ed una colica renale è in corso. Un uomo con la divisa bianca da dietro uno sportello la guarda, senza chiederle precisamente cosa ha, la reputa da “codice verde”. La paziente si accomoda nella sala da attesa stracolma.
Domanda numero 1: In base a quale criterio si attribuisce la tipologia di codice senza neanche “toccare”o visitare il paziente? Paradossalmente una colica renale può essere da codice verde quanto un mattone sul piede, altrettanto doloroso.
Valentina si accomoda in fila. Cittadini dalle ore 9 attendono di essere visitati, 5 ore di coda senza essere minimamente considerati. Giorno di festa: di turno un solo medico, due infermiere e un’ecografa. Un signore di Scauri racconta: “questa notte mi sono sentito male e sono andato a Minturno, lì non c’era nessuna coda, il personale leggeva il giornale, purtroppo non avevano le attrezzature e i farmaci adatti per curarmi e mi hanno detto di venire questa mattina a Formia dal momento che non era grave”.
Domanda numero 2: data l’oggettiva carenza di personale durante le feste, non si potrebbe potenziare con quello di altre strutture o ancora meglio non sarebbe meglio distribuire in maniera più organica il materiale?E’ normale avere una struttura vuota e una sovraffollata?
Dopo ore e ore di attesa finalmente Valentina viene chiamata, inizia la seconda coda: quella all’interno dei laboratori. Un solo dottore e due infermieri umanamente non riescono a gestire decine e decine di pazienti: “non ce la faccio più, sono esausta, voglio le ferie”, afferma l’operatrice. Per smaltire la fila in sala di attesa cercano di chiamare all’interno dove, però, si crea il secondo ingorgo. Come un cameriere, si cerca di prendere tutte le richieste, memorizzare le cose da fare e svolgerle nel modo più veloce possibile. Peccato che non parliamo di piatti ma di persone. Alla nostra paziente viene applicata la flebo: “ma che sei venuta a fare qua? Se già sai cosa è potevi prendere una bustina e stare a casa”.
Domanda 3: Il pronto soccorso è obbligato a compiere il proprio dovere, a somministrare la flebo e curare il paziente. Se il calcolo fosse stato in una posizione pericolosa? Spesso il farmaco non riesce a calmare il dolore troppo forte di una colica. Che si fa? Si continua a soffrire per non fare la fila? Purtroppo l’ago della flebo non viene applicato correttamente, il liquido comincia ad uscire e il sangue ad entrare nella sacca: un grande spavento per Valentina che chiama l’infermiera. “Sicuramente ti sei toccata o ti sei mossa”, la rimprovera.
La nostra amica viene spostata nella III sala di attesa, la camera dalle pareti bianche dove tutti i pazienti visitati e curati posteggiano. Una ventina di persone attaccati ad una flebo sono lasciati qui. Qualcuno dice: “Se sapevo che c’era tutta questa gente non venivo proprio! Soffrivo e aspettavo domani mattina di andare dal medico”. Il liquido delle flebo scende e prima o poi finisce: Valentina è costretta a chiudersi il tappo da sola. Finalmente viene portata dall’ecografa: nel corso dell’esame alla paziente non vengono date spiegazioni, viene impedito di vedere lo schermo e nessun referto viene scritto. In sostanza cosa ha provocato la colica a Valentina? Come si è mosso questo calcolo?
Arriva la quarta lunga attesa: il foglio d’uscita. Finalmente arriva il pezzo di carta firmato, ormai è buio fuori dal pronto soccorso di Formia e Valentina torna a casa senza sapere esattamente cosa è successo. Morale della favola: il giorno dopo dal medico che l’ha in cura Valentina è costretta a rifare a pagamento, a sue spese, l’ecografia per capire dimensioni e posizione del calcolo. Domanda 4: nessuno si aspetta una diagnosi attenta e precisa ma sul foglio d’uscita non si potrebbe scrivere qualche informazione in più oltre data e ora delle dimissioni?
Questo è quello che succede il 6 gennaio al Pronto soccorso di Formia, vietato ammalarsi nei giorni di festa e, forse, i lavorativi pure.
CONTINUA …
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