AFFINCHE' NON RIMANGA SOLO UN PEZZO DI LEGNO


L’Associazione L’Aquilone nasce a Formia nel 2003 dopo una decennale esperienza alle spalle con il mondo dei diversamente abili. In affitto presso una struttura privata, vanno avanti tra mille difficoltà, preannunciando spesso una chiusura delle attività.
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Mercoledì i ragazzi e gli utenti dell’associazione erano in scena al Teatro Remigio Paone di Formia con lo spettacolo finale “ C’era una volta … un pezzo di legno” del laboratorio curato dal Teatro Ko.
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Grandi emozioni, una grande forza di volontà, tanto coraggio, tanta voglia di mettersi in gioco: una sintesi del lavoro che L’Aquilone porta avanti nel nostro territorio.
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<em>Gianni Tudino, regista dello spettacolo, come è stato lavorare con i ragazzi de L’Aquilone, quale approccio avete usato?
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- Per prima cosa il nostro approccio è stato assolutamente “normale”. Abbiamo iniziato ad instaurare con loro un rapporto basato sul leggero contatto fisico, abbiamo iniziato prendendoli per mano e accompagnarli in piccoli percorsi, cerchi, giri, danza. Il nostro teatro è strutturato sulla fisicità ed è un canale di comunicazione altissimo, tante volte più alto della parole, degli sguardi. È un canale di comunicazione quasi antropologico. Abbiamo lavorato con loro quasi come lavorassimo con dei bambini, ci siamo molto divertiti e ci hanno insegnato tantissime cose. Noi partiamo sempre dal presupposto che ognuno di noi ha grosse qualità e grossi talenti nascosti: la cosa fondamentale è entrare in contatto e scardinare piccole barriere. La prima volta che siamo entrati in laboratorio, io e Chiara suonavamo, mi ha sconvolto Graziella (oggi faceva il gatto) che nonostante la stazza è scesa tre volte in spaccata. Allora ho pensato: con questi ragazzi possiamo fare tutto!

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<em>Chiara Bitto molti dicono che in realtà un laboratorio teatrale migliori la concezione dello spazio, il movimento e l’attenzione. Voi personalmente avete notato una crescita nei vostri “allievi” in questo percorso annuale?</em><br/><br/>
-    Si, abbiamo notato una crescita nel linguaggio del corpo acquisendo una migliore consapevolezza dei propri movimenti e dei propri limiti. Questo ha aiutato anche noi perché approcciandoci con queste persone ci siamo accorti di avere dei limiti. Con loro li abbiamo superati, soprattutto nel contatto fisico. All’inizio di un laboratorio avevamo quasi paura, alla fine il contatto fisico è indispensabile per aiutarli nei movimenti, aiutarli ad alzarli, a vestirli. Diventa uno scambio reciproco di emozioni e sentimenti. È stato molto emozionante, specialmente questa sera: il risultato finale è davvero esaltante, ti rendi conto di quante cose possono fare; meno male che in queste cooperative ci sono questi laboratori che aiutano questi laboratori a riempire le giornate, rendendoli protagonisti, facendoli crescere.
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<em>Parliamo del risultato finale. Stefano Lieto, il nostro Pinocchio, pseudo-protagonista di questo spettacolo in realtà corale: che esperienza è stata per te? </em><br/><br/>

-    È stata un’esperienza favolosa. Avere a che fare con queste persone ti apre la mente in maniera assurda: parliamo dei loro limiti ma poi ci rendiamo conto di quanto siamo limitati nell’esprimere le nostre emozioni. Loro non hanno filtri, quello che provano te lo dimostrano giorno per giorno, cosa che poi la società “normale” non ti aiuta a fare.
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Sicuramente una scelta non casuale quella di Pinocchio…
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<em>Tiziana Martongelli, psicologa dell’Associazione l’Aquilone, lei che ci sta dentro, che li conosce da nove anni, ha realmente visto un miglioramento? Cosa è significato per loro il laboratorio teatrale? Perché è importante in un’ Associazione che si occupa di disabili avere un laboratorio di questo tipo?</em>
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-    Io partirei da quello che ha detto Chiara riguardo il riconoscimento dei loro limiti; la cosa spettacolare e magnifica è il riconoscere in loro una potenzialità, soprattutto in loro che non ne erano consapevoli. Hanno capito quando dovevano caricare il sentimento, le emozioni: questo è l’obbiettivo di un laboratorio teatrale. Si tende molto a trovare canali alternativi al solito linguaggio comunicativo: abbiamo avuto Vincenza Ciano ed Enzo che hanno cantato in maniera divina. È vero, loro fanno un laboratorio di musica, ma cantare bene in un teatro è una grande soddisfazione, gli applausi ci hanno riempito di orgoglio; non è sempre facile approcciare tutti, ci sono degli ospiti che hanno avuto difficoltà ad essere coinvolti. Questo è l’obiettivo, non credevo si potesse realizzare in questa maniera, hanno saputo reggere la scena, i toni e i ritmi musicali che sono difficili da reggere per persone con disturbi anche psichici. Sono rimasta senza parole. L’obiettivo è centrato e sono soddisfatta.
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<em>Dottoressa, al termine di questa nostra chiacchierata, ci dica qualcosa su quest’Associazione, cosa fate con i ragazzi, che cos’è l’Aquilone, e anche queste continue difficoltà che avete nell’andare avanti...</em><br/><br/>
-    Credo che  chi oggi ha visto lo spettacolo possa aver avuto un motivo per dire “io posso fare qualcosa per l’Aquilone”. Esiste nel territorio da sempre ed è sempre stata un punto di riferimento per chi ha avuto un disagio in famiglia. Le difficoltà ci sono per tutti, ma in questa situazione di cristi l’Aquilone sta soffrendo tantissimo: ci sono annunci di chiusura perché realmente ci sono momenti in cui fondi non se ne trovano. Adesso c’è l’adeguamento alla legge 41 per cui speriamo che una volta finiti i lavori possiamo rientrare e ritornare a ricevere finanziamenti. <br/><br/>
<em>Voi siete dunque in una struttura in affito?</em><br/><br/>
-    Noi siamo in un luogo privato, non abbiamo una struttura affidata. Paghiamo un affitto, siamo un po’ decentrati, un posto più centrale potrebbe offrire nuovi modi per socializzare, aprire altre prospettive per i nostri utenti. L’appello è questo: venite a casa nostra per vedere chi siamo e cosa facciamo. Gli ospiti meritano tanto, si fa tanto: facciamo un laboratorio di musica, di teatro, plastico pittorico, di scrittura, si eseguono colloqui settimanali, ci sono colloqui psicologici e ogni mese ci incontriamo con le famiglie degli ospiti. È qualcosa di singolare, e questa è la nostra forza. Crediamo molto nel rapporto con le famiglie, li aiutiamo e gli diamo forza cosicché possano trovare la forza e le metodologie tra di loro.
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<em>E’ ormai una realtà il cosiddetto “dopo di noi”: cosa faranno i ragazzi quando i genitori non ci saranno più, quando non ci sarà più chi si occupa di loro? Cosa ne pensa?</em><br/><br/>
-    Anche l’Aquilone ha abbracciato questo progetto, la nostra comunità fa capo alla comunità di Capo D’Arco e attraverso loro ci siamo “attaccati” a questo progetto in cui crediamo tanto. Noi vorremmo prepararci al meglio ma per farlo dovremmo avere qualche posto letto in più. Dobbiamo crederci.  <br/><br/>

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La speranza è davvero quella che L’Aquilone non rimanga solo un pezzo di legno o una zattera di salvataggio, non un burattino ma una vera anima che, come dimostra da decenni, possa sempre spiccare il volo. Il nostro appello va all’ amministrazione comunale per un possibile affidamento pubblico e a tutta la società civile per imparare a conoscere.<br/>
Buon viaggio Aquilone!

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