Se in questa rubrica anche di società si deve parlare , mentre il Paese si divide tra albero di Natale o Presepe nel golfo di Gaeta le famiglie si riuniscono, le nonne iniziano il grande tour de force per la gioia dei nipoti e dei parenti. Tovaglia rossa sul tavolo, luci sulla terrazza e che le feste abbiano inizio. Se i più moderni optano per un viaggio orientale o in un paese caldo o per un bel pranzo al ristorante sono tantissime ancora le famiglie del golfo che preferiscono il focolare domestico tra tombola e carte. Inizia così il rituale delle tradizioni: pesce alla Vigilia e carne il giorno di Natale, brodo il giorno di Santo Stefano, lenticchie e cotechino a Capodanno, ogni leccornia il primo dell’anno. Un viaggio tutto natalizio ci porta nelle antiche usanze dalle curiose origini spesso ignorate dagli stessi cittadini e soprattutto tra giovani e piccoli. A Gaeta l’ultimo dell’anno sarà possibile sentire le melodie tradizionali degli Sciuscie, orchestrine itineranti animate da antichi pastori o contadini che mesi prima si riunivano nelle cantine, costruivano con materiali di fortuna strumenti musicali e andavano casa casa per guadagnare qualcosa da mangiare o qualche spicciolo. Se in America è facile udire fuori casa coretti di bambini per le tradizionali canzoncine di Natale oggi note grazie ai film che costellano i diversi canali televisivi nei giorni di festa, a Gaeta voci dialettali rivivono la tradizione su cui ancora si discute per l’origine del termine. Numerose le tradizioni che conservano la memoria dell’antica vita modesta e umile del tempo (la storia si ripete?!): cappuccia e spuntature di maiale il giorno di S. Stefano, il baccalà il giorno della Vigilia (un tempo pesce dei poveri, oggi da 12 euro al chilo in poi), broccoli o scarola con il limone. La pasta era il cibo degli altolocati e i contadini preferivano buttarsi sulla verdura delle campagne. Molti, inoltre, i piatti ereditati dalla tradizione napoletana come i mustaccioli e i susamielli originariamente distinti a seconda del destinatario: susamiello dei nobili impastato con la farina bianca ed offerto alle persone di livello, susamiello dello zampognaro impastato con farina ed elementi di scarto offerto alle maestranze, ai suonatori e il susamiello del cammino farcito con la marmellata di amarene offerto ai soli religiosi. Arrivano addirittura dalla Grecia i tradizionali “struffoli”: non a caso nella cucina greca esiste ancora una preparazione simile, i loukoumades (ghiottonerie). La notte di capodanno tutti i rituali vanno rispettati affinché i 365 giorni che verranno possano essere più prosperosi: mangiare le lenticchie, il melograno o un grappolo d’uva. I cibi come la spiga di grano in cui è possibile contare i chicchi potrebbero riempirvi, tradizione alla mano, di soldi a palate. Potremmo continuare all’infinito con le usanze più o meno diffuse nel golfo che si perdono nei racconti dei meno giovani, nei profumi delle case, nei piatti e nei volti familiari. E allora vi auguriamo di gustare ogni sapore, di raccontare ogni tradizione, di vivere questi aspetti più tradizionali dell’atmosfera natalizia.
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